America-Cina

2022-10-14 21:41:52 By : Ms. Mary Zheng

Le bombe continuano a cadere sull’Ucraina, Mosca risolve in fretta con otto arresti l’inchiesta sull’esplosione del ponte di Crimea, Biden chiude ma non chiude a un faccia a faccia con Putin, che domani vedrà Erdogan ad Astana. Il Gruppo di contatto Nato per l’Ucraina è riunito a Bruxelles: vedremo quali altre forniture saranno promesse a Kiev e in che tempi, mentre la pressione sullo scudo aereo di cui vi parlavamo ieri sta cominciando a dare i suoi frutti. A quattro giorni dal Congresso che ufficializzerà il terzo mandato di Xi rendendolo uno degli uomini più potenti della storia cinese recente, abbiamo pensato di raccontarvi un po’ meglio chi è questo leader che dopo un decennio al centro della politica mondiale resta un enorme mistero (nella foto, il piccolo Xi, a sinistra, con il papà e il fratellino). Ritorniamo poi negli Stati Uniti per un focus su un grande personaggio, nelle luci e nelle ombre: il fondatore di Starbucks Howard Schultz; e poi per raccontarvi la brutta storia del consiglio comunale di Los Angeles (che però ha il suo eroe positivo). Ieri ci eravamo salutati inneggiando alla sfida incruenta tra orsi, ma sembra che nemmeno tra i ghiacci si possa stare tranquilli. Il povero 747 rischiava di finire vittima di una frode elettorale, poi per fortuna la democrazia ha trionfato. Buona lettura. La newsletter America-Cina è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera. Potete registrarvi qui e scriverci all’indirizzo: americacina@corriere.it.

Un fermo immagine di un video ripreso da un passeggero del tratto di ferrovia danneggiato sul ponte di Kerch il giorno dopo l’esplosione

Le autorità russe provano ad offrire la loro verità su attacco al ponte di Crimea. Questi i risultati dell’indagine a tempo di record .

Otto persone in arresto: 5 russi, due ucraini e un armeno . L’operazione sarebbe stata organizzata dal capo dei servizi segreti militari di Kiev, Kyrylo Budanov . Il camion-bomba ha attraversato diversi Paesi prima di raggiungere il passaggio di Kerch (gli investigatori hanno citato anche la Bulgaria che però ha smentito con forza ). La tesi del veicolo pieno d’esplosivo continua ad essere quella prevalente , condivisa anche da esperti stranieri. Non manca però chi aspetta maggiori dettagli e non esclude altri scenari. Sono sorti dubbi sui video diffusi dalla Russia sul presunto camion coinvolto nell’attentato : le immagini sembrano mostrare due Tir diversi. Una versione pasticciata per accreditare le accuse ?

La Bielorussia continua ad essere sorvegliata speciale . Il regime ha inviato nuovi aiuti bellici alla Russia, segnalati almeno 13 convogli ferroviari con tank e munizioni. Lukashenko, per ora, sembra solo estendere il supporto all’invasione.

Joe Biden, 80 anni a novembre

«In questo momento non vedo perché dovrei incontrare Putin, ma comunque dipende , vedremo di che cosa vuole parlare». Le parole di Joe Biden sono caute, prudenti. Il presidente americano tiene coperte molte carte nell’intervista concessa ieri sera a Jake Tapper della Cnn . Venti minuti di domande su diversi temi, vediamole per punti (qui l’articolo completo).

Nucleare «Non penso che Putin farà ricorso alle armi nucleari. Se lo facesse il risultato sarebbe orribile. È difficile immaginare che una volta lanciata una bomba che uccide migliaia di persone, la situazione possa tornare sotto controllo». La scorsa settimana, Biden, aveva detto che c’è il rischio di un’«Apocalisse nucleare», l’Armageddon. Putin Biden ricorda il discorso del leader russo subito dopo l’invasione dell’Ucraina «quella era una visione del mondo irrazionale, con l’idea di ricostruire la grande Russia», ma «Putin è un soggetto razionale che ha sbagliato tutti i calcoli». La via d’uscita dalla guerra Biden resta sul vago. Il senso è che al momento non si vede una possibile soluzione negoziale. «In ogni caso abbiamo concordato con il G7 che non si farà nulla a proposito dell’Ucraina senza l’Ucraina» . Il faccia a faccia al G20 «Non ho intenzione di incontrare Putin. Non vedo perché dovrei farlo. Ha commesso crimini di guerra, si è comportato brutalmente». Il presidente americano, però, lascia aperto uno spiraglio : «in ogni caso dipende. Se, per esempio, al G20 venisse da me e mi dicesse: voglio parlare del rilascio di Griner (la star del basket femminile detenuta in Russiandr ) allora lo incontrerei». Arabia Saudita La Casa Bianca ha preso malissimo il taglio della produzione del petrolio appena deciso dall’Opec+, sulla spinta di Arabia Saudita e Russia. Biden conferma che gli Stati Uniti «riconsidereranno i rapporti con i sauditi», ma non va oltre.. Economia e recessione È la risposta più confusa. Prima sostiene che «non ci sarà una recessione negli Stati Uniti», poi si corregge : «È possibile, una leggera recessione. Ripeto è possibile, non è certo». I guai di Hunter Il figlio del presidente è sotto inchiesta nel Delaware, ma non ancor rinviato a giudizio, per questioni fiscali e per non aver dichiarato l’acquisto di una pistola. «Sono orgoglioso di mio figlio . Ha vissuto anni difficili, con dipendenza dalle droghe. Ha raccontato tutto nel suo libro. Ho fiducia in lui». L’età e le elezioni Biden compirà 80 anni il prossimo 20 novembre. La maggior parte degli elettori democratici chiedono che non si presenti alle presidenziali del 2024. «Chiedo di essere giudicato per quello che ho fatto in questi primi due anni di mandato. Nessun altro presidente ha ottenuto più risultati di me ». Si candiderà ancora per la Casa Bianca? «Deciderò dopo le elezioni di midterm . In ogni caso credo di poter battere ancora Donald Trump».

Erdogan e Putin al vertice della Shanghai Cooperation Organisation a Samarcanda il 16 settembre

Occhi puntati su Recep Tayyip Erdogan che domani incontrerà il leader russo Vladimir Putin nella capitale del Kazakistan Astana, dove è in programma il summit Russia-Asia Centrale. È il quarto faccia a faccia tra i due capi di Stato dall’inizio del conflitto.

Ancora una volta, dunque, Ankara si pone nei panni di chi tenta di portare Kiev e Mosca al tavolo negoziale, anche se è chiaro che l’obiettivo è molto difficile da raggiungere soprattutto dopo le ultime annessioni unilaterali varate dalla Russia e bocciate senza se e senza ma dalla Turchia . «È necessario giungere a un cessate il fuoco il prima possibile. Prima accade meglio è», ha detto ieri il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu senza, però, negare la drammaticità del momento vista la pioggia di missili abbattutasi su Kiev e le altre città ucraine.

Nei giorni scorsi Mosca aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse essere «padrone di casa» di un eventuale negoziato come era già successo ad Antalya e ad Istanbul. Ma da Ankara nessuno aveva replicato proprio per la difficoltà del momento .

È probabile che il presidente turco punti più alla risoluzione di problemi specifici c o me è stato per l’accordo sull’esportazione del grano e per lo scambio di ostaggi . Una questione importante che sarà sul tavolo è la delicata situazione della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Si riuscirà ad andare più in là? Per farlo sarebbe necessario un qualche passo indietro di Mosca che al momento non appare all’orizzonte.

Sono caduti sette missili questa notte nella regione di Zaporizhzhia . Due hanno colpito nel perimetro urbano attorno all’una. Rombi cupi hanno scosso l’aria nel buio dell’oscuramento e nell’assenza di traffico a causa del coprifuoco dalle 23 alle 5 di mattina. Ci sono danni, ma non si registrano vittime. «Una famiglia con tre bambini piccoli è stata estratta dalla cantina sotto la loro abitazione completamente distrutta nel villaggio di Liezeno», ci dicono alla municipalità.

La giornata è ripresa oggi con gran parte dei negozi e locali chiusi , poco traffico per le strade e le sirene degli allarmi che hanno suonato più volte (qui il racconto di ieri sera dalla città svuotata) . «I missili russi continuano a mirare contro obbiettivi militari. Le nostre autorità non ne parlano, nessun ufficiale ucraino sarà mai pronto a discutere dei danni causati al nostro esercito. Di conseguenza sembra che i russi mirino solo ai civili, ma è una prospettiva sfalsata», confidano le stesse fonti.

Continua nel frattempo la distribuzione delle pastiglie di iodio per chi vive entro 50 chilometri dalla centrale atomica di Zaporizhzhia . Il rischi di disastro nucleare resta nelle preoccupazioni delle autorità. Sono anche stati rimessi a posto i bunker di epoca sovietica , ma non sono sufficienti per accogliere tutta la popolazione. I piani di evacuazione rapida vengono dunque continuamente aggiornati.

Un bar di Leopoli, rimasto senza elettricità dopo i bombardamenti russi, serve i suoi clienti a lume di candela

«Siamo da due giorni al buio. Ho avuto di nuovo paura». Mi ha scritto questo messaggio ieri un amico da Leopoli. Già, perché in queste ore non c’è stata solo Kiev presa di mira. Ma i missili di Putin sono tornati a colpire anche l’Ovest, a pochissimi chilometri dal confine con la Polonia. Senza elettricità è rimasta a lungo Leopoli, dopo «un raid a strutture energetiche» che ha lasciato un terzo della città senza luce né acqua .

Andriy Sadovyi, il sindaco della città, ha chiesto ai residenti di fare scorta di acqua in vista di possibili interruzioni delle forniture, messe a rischio dai raid. «Ognuno è pregato di fare una piccola scorta d’acqua», ha scritto su Twitter. Il governatore della regione, Maxim Kozitski invece ha confermato su Telegram come ieri ci siano state almeno tre esplosioni, contro due impianti e ha chiesto ai residenti di adottare misure per risparmiare energia elettrica dopo che il 30 per cento della città di Leopoli era rimasto senza elettricità.

Alla conferenza stampa ieri a Kiev con il portavoce delle forze di sicurezza, le domande dei giornalisti locali erano quasi tutte sulle forniture. A Kiev, il principale fornitore privato di energia DTEK, controllato dall’oligarca più ricco della nazione Rinat Akhmetov, ha annunciato che potrebbero essere necessarie interruzioni di corrente . Secondo la compagnia, i residenti della capitale devono aspettarsi blackout che potranno durare fino a quattro ore al giorno .

A Lviv l’amministrazione locale sta comprando legna da ardere in vista dell’inverno . A Kramatorsk — dove siamo stati nei giorni scorsi — ci siamo trovati davanti file di persone che chiedevano ai volontari abiti più caldi e legna. È chiaro come il tema preoccupi molto la popolazione ucraina anche in vista dell’inverno , a maggior ragione dato il blocco di forniture della centrale nucleare di Zaporizhizhia. Circa il 30% delle infrastrutture energetiche in Ucraina è stato colpito da missili russi da lunedì 10 ottobre , secondo il ministro dell’Energia ucraino Herman Halushchenko che è nuovamente tornato a chiedere agli alleati la protezione dei cieli ucraini.

«I russi non stanno giocando ad alcuni giochi sulle leggi internazionali. Non si preoccupano di nessun tipo di accordo o convenzione internazionale», ha dichiarato Halushchenko. Inoltre lunedì sera l’Ucraina ha dovuto annunciare lo stop alle esportazioni di elettricità verso l’Europa . In questo modo il presidente russo Vladimir Putin ha ottenuto un duplice risultato. «È stata l’esportazione di elettricità dall’Ucraina che ha aiutato l’Europa a ridurre il consumo di risorse energetiche russe . Ed è per questo che la Russia sta distruggendo il nostro sistema energetico, uccidendo la possibilità stessa di esportare elettricità dall’Ucraina», ha affermato Galushchenko.

Il tutto mentre arriva la notizia che la centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia «ha perso tutta l’energia esterna per la seconda volta in cinque giorni» . A renderlo noto su Twitter il capo dell’Aiea Rafael Grossi, sottolineando che «le ripetute perdite di energia» rappresentano «uno sviluppo profondamente preoccupante e sottolineano l’urgente necessità di una zona di protezione per la sicurezza nucleare intorno al sito».

(Massimo Gaggi ) Elon Musk ha parlato con Vladimir Putin prima di proporre, pochi giorni fa, un piano di pace per l’Ucraina vicino ai desideri del Cremlino? Lo sostiene il politologo Ian Bremmer che avrebbe avuto la confidenza dal fondatore di Tesla e SpaceX, ma Musk ora nega : dice di aver parlato solo una volta col presidente russo, 18 mesi fa.

Fatto sta che in una settimana l’uomo più ricco del mondo ha usato la sua influenza di genio delle tecnologie e di figura di culto con oltre cento milioni di follower su Twitter, per proporre scenari per l’Ucraina e Taiwan che hanno fatto infuriare i governi di Kiev e Taipei, raccogliendo, invece, gli apprezzamenti dei regimi di Mosca e Pechino.

Perché questi passi apparentemente sconsiderati? Oltre a grandi capacità ingegneristiche, Musk ha sicuramente anche tratti narcisistici e il desiderio di fare l’influencer politico a tempo perso. Nel caso della Cina, poi, non si può dimenticare che lì Tesla ha la sua fabbrica più importante, costruita con grandi incentivi pubblici.

Ma nelle sue parole c’è anche l’eco di una convinzione diffusa da decenni nella Silicon Valley : che, come altre materie, anche la politica sia una questione di dati e che ingegneri e algoritmi possano offrire soluzioni migliori rispetto a politici passionali , ideologizzati e, spesso, poco competenti. Anni fa Mark Zuckerberg sosteneva che «il nostro compito è quello di ricablare il mondo da cima a fondo». Ora, con Facebook-Meta in grossa difficoltà, è più cauto. Musk no.

Non concede interviste, non accetta conferenze stampa, non usa Twitter (che tra l’altro è oscurato in Cina); i suoi vari uffici, di segretario generale del Partito comunista, di presidente della Repubblica popolare, di capo della Commissione militare centrale non hanno numeri di telefono pubblici ai quali i giornalisti possano rivolgersi per chiarimenti sulla linea della seconda superpotenza mondiale. Nessuno straniero ha mai messo piede nella sua residenza privata , all’interno di Zhongnanhai, l’ex giardino imperiale di Pechino diventato cittadella proibita del governo della Repubblica popolare. Resta un segreto di Stato chi sia davvero Xi Jinping e che cosa pensi quest’uomo che ha compiuto 69 anni il 15 giugno e uscirà dal XX Congresso del Partito-Stato che si apre domenica 16 ottobre con altri cinque anni di potere assoluto . Della sua vita la propaganda cinese ha diffuso solo foto (ben selezionate) e memorie agiografiche. Il resto sono aneddoti e testimonianze filtrate dall’ombra, più o meno di nascosto . AmericaCina propone da oggi a venerdì un distillato della sua vita in 10 punti. Oggi i primi 3.

Xi Jinping a 19 anni, nel 1972, ai tempi della Rivoluzione culturale (foto Xinhua)

È nato a Pechino, figlio di un compagno della prima ora di Mao , quindi è un «principe rosso», membro della nobiltà comunista destinata a posti di comando e prestigio. Però il padre, Xi Zhongxun, fu purgato nelle lotte di potere degli Anni 60 e secondo la biografia della Xinhua intitolata «Uomo del popolo», il ragazzo Xi «soffrì umiliazioni pubbliche , la fame, restò senza casa e una volta finì anche in cella». Si dice che in quegli anni terribili una sorella maggiore di Xi si sia tolta la vita , sopraffatta dalle vessazioni pubbliche. Nel 1969, Quando aveva 15 anni, anche Xi fu spedito come «giovane istruito», con decine di migliaia di coetanei a zappare in campagna «per essere rieducato dai contadini più poveri», come ordinava la Rivoluzione culturale. Sette anni in un villaggio sperduto nella provincia nordoccidentale dello Shaanxi, alloggiato in una grotta illuminata dalle candele . Dev’essere stato uno choc: a quanto si dice, durante una rara visita a casa, il giovanotto pensò di imboscarsi a Pechino, ma fu costretto dalla madre a tornare nei campi , per non disonorare la famiglia e per non perdere la possibilità di seguire un giorno il cursus honorum che gli avrebbe consentito di diventare un dirigente della Repubblica popolare. Xi allora si portò in campagna un paio di grosse valigie piene di libri : i contadini che lo aiutarono a trascinarle pensarono che dentro ci fosse un tesoro. Erano volumi che lo studente-lavoratore divorava la notte , dopo aver vangato: lesse di tutto, da Victor Hugo a Hemingway e tre volte di seguito il Capitale di Marx (così raccontò lui). Nel villaggio dello Shaanxi il ragazzo si fece apprezzare dalla gente, lavorando come manovale e poi come meccanico di mezzi agricoli.

Xi a 30 anni, nel 1983, funzionario nella provincia dello Hebei (foto Xinhua)

Nel 1976, finita la Rivoluzione culturale, rientrò a Pechino anche il ventiduenne Xi Jinping. Le amicizie di famiglia gli permisero di riprendere gli studi e di laurearsi in ingegneria chimica alla celebre Tsinghua . Il futuro segretario generale però dovette presentare dieci volte domanda di ammissione al Partito, prima di ricevere la tessera . Un suo vecchio amico di quegli anni giovanili ha raccontato che Xi era «un sopravvissuto della Rivoluzione culturale », uno che aveva deciso di scampare a quegli anni di follia maoista «diventando più rosso del rosso», sempre sostenuto da «un’ambizione straordinaria». La Xinhua riferisce che «l’affetto maturato verso il popolo lo ispirò: negli Anni 80, quando molti coetanei si davano agli affari o si specializzavano all’estero, Xi rinunciò a un comodo ufficio a Pechino e andò a lavorare da vice capo della sezione di Partito in una piccola contea dello Hebei , poi si trasferì a Ningde nella provincia del Fujian, una delle più povere a quei tempi». Il principe rosso non aveva paura di sporcarsi le mani, per costruirsi il futuro. Restò nel Fujian con incarichi sempre più elevati per quasi diciotto anni, dal 1985 al 2002.

Xi e la moglie Peng Liyuan nel 1987, anno del matrimonio (foto Xinhua)

Un salto nel privato. Si è sposato due volte: il primo matrimonio è fallito presto . La seconda moglie è Peng Liyuan, cantante con voce da soprano nel coro dell’Esercito popolare di liberazione a Pechino. Quando cominciarono a frequentarsi negli Anni 80, lui era un funzionario del Partito in lenta ascesa, ancora confinato a ruoli di provincia. Lei era molto famosa . Alla festa di nozze nel 1987 parteciparono i compagni burocrati della città di Xiamen nel Fujian dove lui prestava servizio: si narra che un amico impressionato e ignaro chiese a Xi «Come hai fatto a invitare anche quello schianto di Peng?» . Risposta tranquilla del futuro leader supremo: «Doveva venire per forza, è lei che sposo». Pare che all’inizio Peng lo trovasse un po’ noioso, pensava sempre alla politica. Gli ha dato una figlia, Xi Mingze , che ha studiato all’estero ed è tenuta lontana dai riflettori. Continua...

Howard Schultz al bancone di uno dei migliaia di Starbucks americani

Da imprenditore-benefattore che voleva essere il capostipite di un capitalismo più umano , a bestia nera delle unions , condannato a ripetizione per comportamento antisindacale. Ha un sapore amaro la fine della straordinaria avventura imprenditoriale del fondatore di Starbucks, Howard Schultz . Per decenni è stato la bandiera di un modo diverso di fare impresa : meno focalizzato sulla massimizzazione dei profitti, più attento ai bisogni del suo personale.

E qualche anno fa Schultz aveva lasciato la guida di un’azienda ormai colossale — oltre 30 mila negozi nel mondo, 9 mila dei quali negli Usa con 240 mila dipendenti — convinto di aver creato un gigante buono . Il suo modo di gestire il personale, con tutti gli addetti chiamati partner anziché dipendenti , poteva apparire un vezzo o un tentativo di scaricare oneri e responsabilità sui lavoratori, come ha fatto Uber che chiama i suoi autisti independent contractors . Ma a Starbucks la musica era diversa: salario orario decente , copertura sanitaria anche per i lavoratori part-time , stock option per far partecipare tutti ai profitti d’impresa e, in un Paese zeppo di giovani laureati che si portano dietro il peso di un debito universitario di centinaia di migliaia di dollari, iscrizione gratuita per tutti alla Arizona State University .

Schultz aveva fatto anche altro: durante la Grande recessione del 2008-9, nelle città con più disoccupati aveva trasformato molti suoi bar in uffici di collocamento mentre nelle periferie urbane più disastrate aveva lasciato aperti Starbucks in perdita cronica per offrire almeno un punto di socializzazione alla gente degli slums . Dopo la grande crescita degli anni Novanta, quando tutto sembrava possibile — essere generosi coi dipendenti e aumentare al tempo stesso i profitti — Starbucks si era stabilizzata, ma aveva continuato a prosperare .

Elogiato come un benefattore , Howard si schermiva raccontando che da ragazzo, vedendo il padre autista di camion e poi di taxi maltrattato dai datori di lavoro, si era riproposto, una volta divenuto adulto, di creare aziende i cui dipendenti non avrebbero mai dovuto subire simili angherie . Democratico elogiato da molti esponenti del suo partito, nel 2018 Schultz, raggiunti i 65 anni, decise di lasciare la guida della sua azienda a un altro Ceo per darsi alla politica col sogno nel cassetto di una scalata alla Casa Bianca . Il sogno è rimasto tale e l’imprenditore si è dato alla filantropia senza mai perdere di vista la sua creatura che ha subito i contraccolpi negativi della pandemia.

Quando i dipendenti di alcuni suoi negozi hanno cominciato, a partire da Buffalo, a votare per la creazione di rappresentanze sindacali, Schultz, da sempre allergico alle union, ha deciso di tornare in campo. Prima ha visitato in incognito Starbucks di varie città per capire le origini del malessere. Poi, dallo scorso aprile, si è ripreso il ruolo di amministratore delegato , ha criticato in una convention dei manager i suoi dirigenti incapaci di percepire i cambiamenti in atto nel Paese e nel personale aziendale e si è dato un obiettivo: «Ho 69 anni ed energia per guidare la compagnia al massimo per un anno : devo risolvere tutto in fretta».

Uomo generoso ma con un’ostilità totale e preconcetta verso i sindacati che per lui sono il male assoluto, Schultz sostiene che le union non hanno motivo di esistere in imprese che cercano di dare il massimo ai loro dipendenti . Attraversando il Paese in lungo e in largo e chiedendo ai suoi baristi di spiegare i loro problemi con franchezza, l’imprenditore ha scoperto che i favolosi benefit, le buone condizioni di lavoro e i discreti salari di qualche anno prima erano diventati ormai poca cosa nell’America travolta dalla pandemia e dall’aumento della criminalità, alle prese con un’inflazione che erode i guadagni.

Riconosciuta la fondatezza del malessere dei suoi dipendenti, Schultz non ha tuttavia cambiato il suo atteggiamento nei confronti dei sindacati : accecato dal suo paternalismo imprenditoriale , a maggio ha concesso aumenti retributivi e altri benefit a tutti i dipendenti escludendo, però, quelli dei circa 250 bar che hanno votato per l’istituzione di una rappresentanza dei lavoratori . Travolto dalle critiche, attaccato dagli stessi politici democratici che lo avevano osannato, Schultz ha tirato dritto anche quando la sua mossa, apparsa subito illegale, è stata impugnata davanti ai tribunali . Mr Starbucks non se ne cura: punta sul fatto che anche in America la giustizia civile soffre di una certa lentezza.

Alla fine potrebbe anche spuntarla : il numero dei bar che votano per la sindacalizzazione, cresciuto molto l’anno scorso, ora sta rapidamente calando: dalle 71 petizioni di marzo alle 7 di agosto. Ma la favola dell’imprenditore generoso è ormai irrimediabilmente lacerata.

La vomitevole vicenda delle registrazioni che sta scuotendo il municipio di Los Angeles — la presidente democratica del consiglio comunale Nury Martinez aveva, tra le numerose espressioni razziste, definito «scimmietta» il bimbo afroamericano di un collega , «merita un sacco di schiaffoni», e altri due consiglieri, anche loro dem, si erano espressi in modi inaccettabili — ha avuto almeno un lato positivo (oltre alle sue inevitabili dimissioni: per ora si è autosospesa ma non si vede come possa tornare al lavoro).

Il lato positivo è che Gil Cedillo e Kevin De León , anche loro colpevoli di espressioni ingiuriose a sfondo razziale, sono stati letteralmente allontanati dalla folla indignata prima di una seduta e hanno lasciato il municipio .

Soprattutto, ha colpito la dimostrazione di immensa dignità data da Mike Bonin , consigliere comunale progressista finito nel mirino dei colleghi a causa delle sue politiche sui senzatetto, il papà del bimbo: «Davvero, davvero non voglio essere qui oggi. Vorrei essere a casa con la mia famiglia in questo momento», ha detto Bonin in un discorso diventato immediatamente virale sui social media , e che il Los Angeles Times ha definito «la cosa migliore uscita dal municipio da secoli a questa parte» .

«Mio marito e io siamo entrambi feriti, arrabbiati, con il cuore spezzato e tristissimi: per la nostra famiglia e per Los Angeles . Sono sconvolto da queste rivelazioni, servitori della comunità che riversano odio, e bile, sugli altri. I funzionari pubblici dovrebbero aiutarci a volare alto, ma queste persone ci hanno pugnalato alle spalle. Hanno sporcato lo spirito di Los Angeles. Ecco, sono abituato alle critiche quando si tratta di politica, ma che c’entra il mio bambino?».

DiCaprio nel novembre scorso alla Cop26 di Glasgow

(Guido Santevecchi ) C’è un duello ambientalista in corso tra Leonardo DiCaprio e la Cina. L’attore sul suo account Twitter ha sollevato il caso dello spopolamento degli oceani ,puntando il dito sull’industria ittica cinese (ne avevamo scritto qui): «Negli ultimi due decenni la Cina ha costruito migliaia di pescherecci d’alto mare, consumando le riserve ittiche negli oceani circostanti. Poi, i loro pescatori si sono diretti verso altri mari in giro per il mondo... questa pratica ha sollevato allarme per l’impatto sulle economie locali e sulla sostenibilità dello sfruttamento commerciale delle specie oceaniche».

DiCaprio, che su Twitter si presenta come «attore e ambientalista» e conta su oltre 19 milioni di follower , ha rilanciato un’inchiesta del New York Times che presentava il caso partendo dalle suggestive isole Galapagos, il paradiso naturale al largo dell’Ecuador nel Pacifico, minacciato da una flotta di pescherecci industriali arrivati principalmente dalla Cina «cacciatrice rapace».

L’attore è finito sotto il fuoco della critica mandarina. Il Quotidiano dei coltivatori , organo ufficiale del Ministero dell’Agricoltura, gli ha suggerito di «rispettare i fatti e smettere di parlare in modo sconsiderato» . Secondo il giornale ministeriale non è la Cina a distruggere l’ecosistema marino ma «il consumo da parte dei Paesi sviluppati». Il 65% del pesce che finisce sul mercato cinese è di allevamento, sostiene il governo di Pechino . La polemica condotta dal Quotidiano dei coltivatori è tecnica. Ma sui social cinesi le accuse al divo di Hollywood sono personali: «Leo è uno che mangia meglio della gente comune. Gli occidentali sono così: quando hanno la pancia piena dicono agli altri che non debbono mangiare di più ».

Il vincitore: 747, bear-plane (orso aeroplano)

Alla fine ha vinto 747, ha vinto il bear-plane (l’orso aeroplano), il primo della storia a essere stato vittima di una frode elettorale. Incredibile ma vero: si è scoperto che in una delle semifinali della Fat Bear Week 2022 , il concorso (di cui vi avevamo parlato ieri) che in Alaska incorona il grizzly più grasso (e dunque più pronto ad andare in letargo), migliaia di voti farlocchi erano affluiti su Holly, la sfidante di 747 .

Dopo aver condotto la semifinale in vantaggio, il veterano di mille mangiate si era ritrovato fuori dai giochi nel giro di poco tempo. Insospettiti da questa improvvisa affluenza a senso unico in favore di Holly, i ranger-scrutatori del Katmai National Park si sono accorti delle irregolarità, ribaltando il giudizio delle urne online , manco fossero la Corte Suprema degli Stati Uniti.

I voti frutto di spam sono stati esclusi dalla conta : con una scorpacciata di 37.940 voti 747 ha battuto Holly, il cui dimagrito bottino si è fermato a 30.430 preferenze. Il gustoso e allarmante retroscena ha reso ancora più bella la vittoria di 747 sulla giovane 901 nella finale: a urne chiuse, il primo ha totalizzato 68.105 voti contro i 56.876 della rivale, che avrà tempo per rifarsi . Era la prima volta che 901 partecipava alla gara tutta umana che dal 2014 si organizza nel parco nazionale a sud di Anchorage per sensibilizzare il pubblico sui temi dell’ambiente .

Oltre un milione di votanti hanno partecipato all’elezione dell’orso più grasso. O meglio, di quello che nel corso dell’estate ha messo su più peso in vista della sosta invernale . Dodici partecipanti, webcam aperte per spiare i candidati intenti a catturare salmoni nel Brooks River , una cartella elettorale che per ciascuno comprendeva una foto a giugno e una foto dopo la grande abbuffata estiva.

I ranger-scrutatori dicono che è stato facile smascherare l’imbroglio. Non si sa chi ci sia dietro. Si aprirà un’inchiesta? Mentre si avvicinano le elezioni (tutte umane) di mid-term, qualche sconfitto potrà sempre citare le elezioni (quasi rubate) degli orsi in Alaska. E, dopo aver appurato se 747 è democratico o repubblicano, gridare al complotto.

Grazie per l’attenzione e buon pomeriggio! A domani, Marilisa Palumbo